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L’art. 8 del GDPR General Data Protection Regulation consente agli Stati membri di stabilire per legge un’età inferiore per la liceità del trattamento dei dati personali del minore, rispetto a quella stabilita nella norma europea (di anni 16), al di sotto della quale il trattamento è lecito soltanto se e nella misura in cui tale consenso è prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale. La norma europea pone altresì un limite (individuato in 13 anni) al di sotto del quale il legislatore nazionale non può scendere, rendendo di fatto sempre necessario l’intervento dei genitori o del/dei titolari della responsabilità genitoriale.

Premesso altresì che l’indicazione di un limite d’età diverso da parte del “legislatore” italiano è solo una questione di “politica”, non trovo assolutamente irrazionale l’abbassamento di questo, in deroga a quanto indicato nel GDPR, a patto che il minore “legalmente capace”(limitatamente all’atto), abbia la capacità di discernimento. Questo però dovrebbe passare prima da una valutazione naturale poi cristallizzata nella norma.

Sono pure disposto a credere in un sacrificio in nome della certezza dei diritti, ma mettiamo prima in condizione di far capire a questi minori (con super poteri) di cosa si parla, proprio alla pari di altri atti giuridici che compiono regolarmente con coscienza e consapevolezza (ad esempio e banalmente: il contratto di compravendita della merenda fuori scuola). Difficile si! Ma non impossibile. L’ho sperimentato io, in varie scuole superiori pubbliche sul territorio, che se stimolati nel modo giusto, i ragazzi restituiscono gradi soddisfazioni, che poi, a macchia d’olio, si allargano alle famiglie e alla cerchia degli amici, innescando automaticamente un circolo virtuoso per l’intera comunità. E qui ancora una volta, sta alla politica, scegliere, se investire nelle scuole, nella cultura ed in quella che io amo definire cittadinanza 4.0 o nascondersi sotto la coperta della discrezionalità politica. Perchè è impossibile creare la società 4.0 senza aver prima creato il cittadino 4.0. Ma forse, noi italiani, siamo abituati da sempre a fare prima l’Italia eppoi gli italiani!

Non dimentichiamo che la capacità giuridica è qualcosa che si acquista progressivamente all’avvicinarsi al 18° anno di età e che pertanto la valutazione non può non essere che legata alla capacità media di discernere il rapporto in oggetto. Ma allora, quando si può affermare mediamente una capacità simile: i giovani d’oggi sono molto avvezzi alle tecnologie, spesso anche più dei “pienamente capaci”, ma nella maggior parte dei casi ignorano il retrostante diritto, seppur sotto forma, nella loro mente, di convenzione sociale. Quale sarebbe pertanto la giusta età? Nel diritto francamente faccio fatica a trovare risposte! Il giurista non può che sollecitare la politica e spiegare nel modo più semplice possibile la questione al “popolo”.

Viviamo spesso, ahimè, al di sopra delle nostre possibilità, nell’era digitale ma con substrato culturale di stampo “prima repubblica”, che tenta di resistere e nella resistenza genera disparità. Come ogni rivoluzione, sono tanti i caduti, non più morti sotto i colpi di “spada” ma morti viventi nel mondo digital.

Concludo con una provocazione, sempre in tema capacità: noi ci preoccupiamo tanto e giustamente dei minori, quando avrei dei seri dubbi anche su tanti e tanti maggiorenni. Che si fa?

 

Articolo a cura di Armando De Lucia, Diritto e Tecnologie dello Studio Legale DLP

 

 

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